Descrizione
Giosuè Carducci, suo contemporaneo (si ricordi che l’inno A Satana, manifesto di materialismo e realismo, fu composto nel 1863), con tono irridente, ma non celando umana simpatia, lo giudicò «il più poeta» di tutta la «terza generazione dei romantici» proprio per il suo voler apparire realista, pur essendo «inzuppato, anzi ammalato d’idealismo». Salvò solo questa prima stagione della rappresentazione della natura con animo «tra di campagnolo e di pittore». E fu Croce, in seguito, rifiutata con vis polemica la tendenza dissoluta e ribelle («Egli ci dava un senso di smarrimento e di malessere, una ripugnanza, venata appena di giovanile curiosità per lo spettacolo malsano»), a sottolineare la componente idillica praghiana: l’amore per la campagna e le semplici gioie, la sensibile attenzione per la gente umile e le «figure compassionevoli», il sentimento d’amicizia, la tenerezza per l’infanzia. E in verità, se percorriamo i versi di Tavolozza, siamo colpiti dalla felicità dei bozzetti e dalla freschezza delle immagini, che uniscono, in sintesi di colore e di musica, la percezione impressionistica del pittore con la sensibilità del poeta, che sente la bellezza della natura spontanea e non contaminata; comunica, in rapide pennellate, voci, colori, echi di paesaggio; anima figure colte con pietà (Il professore di greco; Vecchierelli al sole; Suicidio; La morta del villaggio) o con lieve umorismo e tono scherzoso.
Dalla Prefazione di Gabriella Palli Baroni